venerdì 13 novembre 2015

Il mio aiuto viene dal Signore

Era l'epoca della Seconda Guerra Mondiale, e quel giorno i miei genitori si stavano preparando per andare in chiesa. Una bandiera rossa, bianca e blu con quattro stelle blu faceva bella mostra di sé, appesa alla vetrata della porta d'ingresso. Le stelle rappresentano i due generi e i due figli che stavano presentando servizio nell'esercito e nella marina americana. Mio fratello Vernley presto sarebbe partito per la campagna nell'Africa del nord, mentre l'altro, Wesley, era in marina e si trovava da qualche parte, in alto mare. Mio padre si girò lentamente sulla sedia: sembrava che qualcuno avesse bussato timidamente alla porta. Andò ad aprire e vide un ragazzo in uniforme che gli mise velocemente una busta gialla fra le mani tremanti e scappo via. La mamma si avvicinò per leggere insieme a lui quelle parole strazianti: "Dipartimento di Guerra degli Stati Uniti: siamo spiacenti di dovervi informare che vostro figlio, Wesley Jens Illum, risulta disperso in combattimento". Lo stesso amore che li aveva uniti, durante il parto, mentre li educavano e infine quando li avevano dovuti lasciare andare ciascuno per la loro strada, teneva stretti Hans e Lilly Illum l'uno all'altra, indissolubilmente legati dal loro atroce dolore. Dopo aver pianto a lungo, si inginocchiarono e ringraziarono il Signore, perché nella Sua bontà aveva concesso loro il privilegio di gioire del loro amato figlio per ventisei anni. Poi spedirono dei telegrammi agli altri figli e andarono in chiesa. Essendo solo una ragazza, e ultimogenita di sette figli, la mia reazione a questa esperienza traumatica fu terribilmente diversa. Wesley era il mio amico, il mio confidente, il mio consigliere. Quando quell'orribile messaggio mi raggiunse, mi trovavo da alcuni parenti, sulle montagne della Virginia occidentale. Io e mia cognata stavamo tornando a casa da una visita a mio fratello Vernley, che si trovava a Camp Lee, in Virginia. Zio Sofus, zia Emma e la loro famiglia stavano facendo colazione nella loro casetta accogliente situata in pittoresco paesino di montagna. Quando entrammo in casa, mi chiesi subito, perché fossero tutti così seri. Cercando di trovare le parole giuste, zio Sofus disse con tono compassionevole: "Vonnie, Wesley risulta disperso in combattimento". Appena ebbe pronunziato queste parole, mi gettai per terra con un grido di dolore. Improvvisamente mi sentii assalire da una sensazione orribile. Mi pareva di essere stata intrappolata e stretta in una morsa da una rete con le maglie di ferro. Uscii di casa e mi trovai a correre per la strada, che pareva l'unica via d'uscita rimasta. Quando ebbi esaurito tutte le energie, mi gettai sul bordo della strada ansimando e singhiozzando convulsamente. E Lui era lì! Dio era lì! Mi parlò dolcemente, ricordandomi delle parole che avevo letto tante volte, ma non avevo imparato a memoria: "Alzo gli occhi verso i monti. da dove mi verrà l'aiuto? (Salmo 121:1). Il mio aiuto viene dal Signore! Mi stava abbracciando. Alzai gli occhi velati dalle lacrime verso quei monti che mi erano parsi così strani, abituati com'ero alle distese di campi coltivati dell'Iowa. Tuttavia ora mi trasmettevano un senso di pace. Mi sentivo appagata, circondata non da una gabbia che imprigiona, ma dalle braccia del mio Padre Celeste e dal Suo amore tenero e compassionevole. Era Lui che aveva creato le montagne. Era l'Uomo dei dolori, che conosce il patire, anche il mio. Un po' di tempo dopo avere saputo che Wesley era morto, ricevemmo la sua ultima lettera. In essa faceva riferimento al Salmo 121, lo stesso passo che Dio mi aveva riportato alla mente in quel momento di consolazione. Scriveva: "E' il mio conforto nei miei tristi". Alcuni mesi dopo parlammo con due commilitoni di Wesley che erano sopravvissuti. Ci raccontarono dei particolari orrendi di quella notte spaventosa. Ci dissero anche qual era stata l'ultima preghiera di Wesley, la sera prima della sua scomparsa: "O Signore, ti lodo perché ti conosco e sono pronto a raggiungerti". Un anno dopo ci fu consegnato un secondo telegramma del Dipartimento di Guerra degli Stati Uniti, in cui si dichiarava ufficialmente che Wesley era morto. Tutti noi sapevamo che era vivo per l'eternità. Purtroppo mio padre era convinto che, dopo un anno di incertezze riguardo alla sorte di Wesley, una funzione pubblica in sua memoria non sarebbe stata un bene né per la famiglia né per gli amici. Quando andai per la prima volta lungo la costa dell'Oceano Pacifico, diversi anni dopo, celebrai la mia funzione personale in sua memoria. Ero sola in spiaggia, in piedi davanti all'oceano, con il volto rigato da un fiume di lacrime amare. Fui sopraffatta da un senso di repulsione nei confronti dell'oceano, che mi pareva soltanto una tomba. Poi improvvisamente Dio parlò al mio cuore: "Non è stato l'oceano a portarti via Wesley. Sapevo che aveva bisogno del cielo, perciò l'ho chiamato a me". Scese su di me un senso di pace e di accettazione totale e benedetta, mentre Dio continuava a sussurrarmi nel cuore al di sopra del rumoreggiare delle onde: "E i milioni di persone che dormono nelle profondità abissali e silenziose presto regneranno ancora su questa terra".

Lavon Illum Swink

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