Quando cominciai ad assumere antidepressivi ero mamma a tempo pieno di tre bimbi, avevo una casa bellissima, un marito con un ottimo lavoro ed eravamo tutti e due impegnati nella nostra chiesa. Da ogni punto di vista esterno la mia vita era perfetta, ma dentro mi sentivo morire. Le responsabilità che altre donne portavano con tanta leggerezza per me erano schiaccianti e le mie giornate erano accompagnate da tristezza e disperazione. Mio marito lavorava molto ed io passavo ore a desiderare che tornasse a casa. Purtroppo, però, la mia disperazione non nasceva tanto da una reale voglia di passare del tempo con lui, quanto da un disperato bisogno di aiuto. Nei giorni in cui
egli arrivava anche solo qualche minuto in ritardo, dentro di me si sviluppava rabbia, rancore e delusione. Tutto ciò mise sotto enorme pressione il nostro rapporto, e presto egli cominciò a stare male al solo pensiero di tornare a casa. Mentre il disagio in famiglia aumentava, cresceva anche la mia angoscia. Niente nella mia vita aveva senso ed ero confusa, arrabbiata con Dio, perché non rispondeva alle mie richieste di far sparire il mio dolore; cominciai a credere che mi stesse punendo per la vita di peccato che avevo vissuto prima di diventare cristiana. Non pensai mai al suicidio, ma avrei voluto addormentarmi e non risvegliarmi mai più. Mio marito cominciò a preoccuparsi e mi chiese se fossi disposta ad avvalermi di qualche consulenza. Dentro di me ero convinta di essere un caso disperato, ma - seppur con un po' di riluttanza - acconsentii. Immediatamente il consulente diagnosticò in me una grave depressione e finalmente pensai che forse, in fin dei conti, non ero una persona così terribile: ero malata! Il consulente ci indirizzò da uno psichiatra, che immediatamente mi prescrisse un antidepressivo. Dapprima mi sembrò di stare meglio, ma col passare del tempo constatai che continuavo a fare fatica ad amare mio marito ed i miei figli, e mi mancava ancora quella gioia che desideravo così ardentemente. In me si alternarono frustrazione e rabbia. Cominciai a chiedermi se il farmaco avesse smesso di funzionare e decisi di sospenderlo non appena avessi finito l'ultima scatola.
egli arrivava anche solo qualche minuto in ritardo, dentro di me si sviluppava rabbia, rancore e delusione. Tutto ciò mise sotto enorme pressione il nostro rapporto, e presto egli cominciò a stare male al solo pensiero di tornare a casa. Mentre il disagio in famiglia aumentava, cresceva anche la mia angoscia. Niente nella mia vita aveva senso ed ero confusa, arrabbiata con Dio, perché non rispondeva alle mie richieste di far sparire il mio dolore; cominciai a credere che mi stesse punendo per la vita di peccato che avevo vissuto prima di diventare cristiana. Non pensai mai al suicidio, ma avrei voluto addormentarmi e non risvegliarmi mai più. Mio marito cominciò a preoccuparsi e mi chiese se fossi disposta ad avvalermi di qualche consulenza. Dentro di me ero convinta di essere un caso disperato, ma - seppur con un po' di riluttanza - acconsentii. Immediatamente il consulente diagnosticò in me una grave depressione e finalmente pensai che forse, in fin dei conti, non ero una persona così terribile: ero malata! Il consulente ci indirizzò da uno psichiatra, che immediatamente mi prescrisse un antidepressivo. Dapprima mi sembrò di stare meglio, ma col passare del tempo constatai che continuavo a fare fatica ad amare mio marito ed i miei figli, e mi mancava ancora quella gioia che desideravo così ardentemente. In me si alternarono frustrazione e rabbia. Cominciai a chiedermi se il farmaco avesse smesso di funzionare e decisi di sospenderlo non appena avessi finito l'ultima scatola.
Scoprii allora che cosa significhi essere dipendente dagli antidepressivi: i mal di testa fortissimi, il malessere fisico, i sudori freddi e la nausea mi costrinsero a letto e dovetti implorare al telefono il mio medico per farmi di nuovo la ricetta. Ripresa l'assunzione del farmaco cominciai a sentirmi in trappola: ero su una giostra che non potevo fermare e da cui non potevo scendere; non riuscivo a vivere né con la medicina né senza. Nei mesi che seguirono cominciai a sfogarmi con il Signore. Questa volta, però, non gli chiedevo di togliere il mio dolore; gli domandavo invece che cosa mi mancasse. Egli usò le verità della Bibbia per ricordarmi chi sono, in Cristo; mi rammentò che ero stata creata in modo meraviglioso (Salmo 139:14) e che la Sua grazia e potenza erano sufficienti per prevalere sulla mia debolezza (II Corinzi 12:9). A mano a mano che queste verità si impadroniscono del mio cuore, tornò il desiderio di liberarmi degli antidepressivi. Questa volta non smisi di prenderli di colpo, ma progressivamente nell'arco di qualche settimana. Chiesi a Dio di darmi la fede e la forza di fare ciò che credevo Lui volesse. Alla fine capii che la "malattia" non era nel cervello, come aveva suggerito il consulente, ma piuttosto nel mio cuore, e che la Bibbia la chiama "peccato". Il mio problema non derivava da uno squilibro di sostanze chimiche a livello cerebrale, ma da pensieri sbagliati e peccaminosi che portavano poi ad azioni a loro volta sbagliate e peccaminose. Quando cominciai ad ammettere la mia debolezza (II Corinzi 12:10), a non appoggiarmi sul mio discernimento (Proverbi 3:5) a fare prigioniero ogni mio pensiero (II Corinzi 10:5) ed a convertirmi dalle mie vie malvagie (II Corinzi 7:14), iniziai a sperimentare ciò che una montagna di farmaci non avrebbe mai potuto darmi: la gioia nel Signore nonostante le mie circostanze! A volte mi capita ancora di lottare contro sentimenti di tristezza e disperazione, ma so anche che non c'è niente di troppo grande in questa vita che la grazia di Dio non possa vincere. Quando la mia mente poggia su questa verità immutabile e oggettiva, piuttosto che sui miei sentimenti mutevoli e soggettivi, allora la gioia del Signore è veramente la mia forza (Neemia 8:10), ed è allora che vedo le sfide di ciascuna giornata non come circostanze che rischiano di schiacciarmi, ma come opportunità che mi permettono di sperimentare ancora di più ed in modo sempre più grande la fedeltà di Dio.
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Mi chiamo Anna Sono una Testimone di Geova per il momento non attiva Soffro di una grave depressione e non so come uscirne prendo molti farmaci e leggendo questa esperienza molto incoraggiantemi fa capire che effettivamente allontanandosi da Dio si perde il senso della vitaa volte abbiamo la tendenza a chiedere effettivamente dopo dobbiamo chiederci farci domande se in realtà io corrispondo hai pensieri di Dio Ho appena finito di pregare di chiedere aiuto non al Dio Geova bensì al Creatore nel cielo e della terra e subito dopo ho letto questa esperienza mi devo fare tesoroe metterla in conto nella mia vita so che i farmaci che prendo per il momento sarà difficile sospenderli però il desiderio più grande è proprio questo che un giorno non prenderò più gli antidepressivi
RispondiEliminaIn GESU' C'E' liberazione, invocalo e ti liberera'
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