venerdì 20 novembre 2015

Liberata dai demoni!

Con uno sforzo sovrumano mi trascinai fino alla porta del tempio del villaggio. La porta si aprì; caddi dentro, all'ingresso, e restai lì a rotolarmi a terra. Uno spirito maligno era venuto su di me. Non avevo coscienza di nessun dolore a quel tempo, ma poi rimasi a letto per tre giorni, tutta dolorante. In un'altra occassione caddi sul fuoco e dovetti essere trascinata via da altre donne. In quel momento non sentii nulla, ma poi soffrii per molto tempo di terribili ustioni sulle spalle. Facevo parte della Defuntos, una congrega femminile. Ci incontravamo in determinate occasioni per certe cerimonie ero una persona importante, avendo ereditato il diritto di portare il pennacchio che apparteneva alla nostra discendenza. Quel pennacchio era stato

venerdì 13 novembre 2015

Il mio aiuto viene dal Signore

Era l'epoca della Seconda Guerra Mondiale, e quel giorno i miei genitori si stavano preparando per andare in chiesa. Una bandiera rossa, bianca e blu con quattro stelle blu faceva bella mostra di sé, appesa alla vetrata della porta d'ingresso. Le stelle rappresentano i due generi e i due figli che stavano presentando servizio nell'esercito e nella marina americana. Mio fratello Vernley presto sarebbe partito per la campagna nell'Africa del nord, mentre l'altro, Wesley, era in marina e si trovava da qualche parte, in alto mare. Mio padre si girò lentamente sulla sedia: sembrava che qualcuno avesse bussato timidamente alla porta. Andò ad aprire e vide un ragazzo in uniforme che gli mise velocemente una busta gialla fra le mani tremanti e scappo via. La mamma si avvicinò per leggere insieme a lui quelle parole strazianti: "Dipartimento di Guerra degli Stati Uniti: siamo spiacenti di dovervi informare che vostro figlio, Wesley Jens Illum, risulta disperso in combattimento". Lo stesso amore che li aveva uniti, durante il parto, mentre li educavano e infine quando li avevano dovuti lasciare andare ciascuno per la loro strada, teneva stretti Hans e Lilly Illum l'uno all'altra, indissolubilmente legati dal loro atroce dolore. Dopo aver pianto a lungo, si inginocchiarono e ringraziarono il Signore, perché nella Sua bontà aveva concesso loro il privilegio di gioire del loro amato figlio per ventisei anni. Poi spedirono dei telegrammi agli altri figli e andarono in chiesa. Essendo solo una ragazza, e ultimogenita di sette figli, la mia reazione a questa esperienza traumatica fu terribilmente diversa. Wesley era il mio amico, il mio confidente, il mio consigliere. Quando quell'orribile messaggio mi raggiunse, mi trovavo da alcuni parenti, sulle montagne della Virginia occidentale. Io e mia cognata stavamo tornando a casa da una visita a mio fratello Vernley, che si trovava a Camp Lee, in Virginia. Zio Sofus, zia Emma e la loro famiglia stavano facendo colazione nella loro casetta accogliente situata in pittoresco paesino di montagna. Quando entrammo in casa, mi chiesi subito, perché fossero tutti così seri. Cercando di trovare le parole giuste, zio Sofus disse con tono compassionevole: "Vonnie, Wesley risulta disperso in combattimento". Appena ebbe pronunziato queste parole, mi gettai per terra con un grido di dolore. Improvvisamente mi sentii assalire da una sensazione orribile. Mi pareva di essere stata intrappolata e stretta in una morsa da una rete con le maglie di ferro. Uscii di casa e mi trovai a correre per la strada, che pareva l'unica via d'uscita rimasta. Quando ebbi esaurito tutte le energie, mi gettai sul bordo della strada ansimando e singhiozzando convulsamente. E Lui era lì! Dio era lì! Mi parlò dolcemente, ricordandomi delle parole che avevo letto tante volte, ma non avevo imparato a memoria: "Alzo gli occhi verso i monti. da dove mi verrà l'aiuto? (Salmo 121:1). Il mio aiuto viene dal Signore! Mi stava abbracciando. Alzai gli occhi velati dalle lacrime verso quei monti che mi erano parsi così strani, abituati com'ero alle distese di campi coltivati dell'Iowa. Tuttavia ora mi trasmettevano un senso di pace. Mi sentivo appagata, circondata non da una gabbia che imprigiona, ma dalle braccia del mio Padre Celeste e dal Suo amore tenero e compassionevole. Era Lui che aveva creato le montagne. Era l'Uomo dei dolori, che conosce il patire, anche il mio. Un po' di tempo dopo avere saputo che Wesley era morto, ricevemmo la sua ultima lettera. In essa faceva riferimento al Salmo 121, lo stesso passo che Dio mi aveva riportato alla mente in quel momento di consolazione. Scriveva: "E' il mio conforto nei miei tristi". Alcuni mesi dopo parlammo con due commilitoni di Wesley che erano sopravvissuti. Ci raccontarono dei particolari orrendi di quella notte spaventosa. Ci dissero anche qual era stata l'ultima preghiera di Wesley, la sera prima della sua scomparsa: "O Signore, ti lodo perché ti conosco e sono pronto a raggiungerti". Un anno dopo ci fu consegnato un secondo telegramma del Dipartimento di Guerra degli Stati Uniti, in cui si dichiarava ufficialmente che Wesley era morto. Tutti noi sapevamo che era vivo per l'eternità. Purtroppo mio padre era convinto che, dopo un anno di incertezze riguardo alla sorte di Wesley, una funzione pubblica in sua memoria non sarebbe stata un bene né per la famiglia né per gli amici. Quando andai per la prima volta lungo la costa dell'Oceano Pacifico, diversi anni dopo, celebrai la mia funzione personale in sua memoria. Ero sola in spiaggia, in piedi davanti all'oceano, con il volto rigato da un fiume di lacrime amare. Fui sopraffatta da un senso di repulsione nei confronti dell'oceano, che mi pareva soltanto una tomba. Poi improvvisamente Dio parlò al mio cuore: "Non è stato l'oceano a portarti via Wesley. Sapevo che aveva bisogno del cielo, perciò l'ho chiamato a me". Scese su di me un senso di pace e di accettazione totale e benedetta, mentre Dio continuava a sussurrarmi nel cuore al di sopra del rumoreggiare delle onde: "E i milioni di persone che dormono nelle profondità abissali e silenziose presto regneranno ancora su questa terra".

Lavon Illum Swink

lunedì 9 novembre 2015

L'ultimo desiderio di un condannato a morte!

A poche ore nella sua cella prima di essere giustiziato, il condannato chiese un ultimo desiderio: un penna e un foglio per scriverci le sue ultime volontà. Dopo di aver scritto per vari minuti, disse alla guardia: "Per piacere, date questa lettera a mia madre". La lettera diceva così: "Cara madre, credo che se ci fosse più giustizia in questo mondo, tu saresti giustiziata come lo sarò io tra poco. Tu sei colpevole di questa mia vita miserabile! Ti ricordi, madre, quando portai a casa quella bicicletta che ti dissi che l'avevo rubata ad un altro ragazzo come me? Mi hai aiutato a nasconderla affinché mio padre non se ne accorgesse. Ti ricordi, madre, quando rubai il portafoglio della vicina di casa? Andammo subito al centro commerciale e spendemmo fino all'ultimo centesimo. Ti ricordi, madre, quando buttasti fuori di casa mio padre? Lui mi voleva solo correggere perché provai a corrompere alcune persone per comprarmi il diploma alla scuola media, con conseguenza l'espulsione dalla scuola stessa. Madre, io ero solo un ragazzo che aveva bisogno di essere corretto e educato. Io ero solo un ragazzo, poi fu adolescente e adesso sono un uomo formato, ma è troppo tardi per tornare indietro e non fare le cose di cui ora mi vergogno. Ti perdono, madre, e vorrei che facesti arrivare a tutti i genitori del mondo questa breve riflessione: che loro sono gli unici responsabili a formare un uomo decente o un delinquente. Grazie madre per avermi dato la vita e grazie anche per avermi aiutato a perderla. Firmato: tuo figlio, il delinquente. Se volete aiutare a salvare i vostri figli, educateli fin da piccoli ad essere ubbidienti, specialmente e principalmente nelle vie di Dio, altrimenti molti di loro cresceranno come degli assassini, dei delinquenti, dei ladri o anche come persone per bene, ma molti saranno pieni di agnosticismo e ateismo. Saranno sempre ribelli a qualsiasi riprensione ed educazione cristiana. Che questo esempio ci possa far riflettere. "Inculca al fanciullo la condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne dipartirà" (Proverbi 22:6).

lunedì 2 novembre 2015

Stregoneria

Prima che Hazel, il mio collaboratore canadese, ed io ci recassimo ad incominciare un'opera pionieristica nel villaggio di Touba, nel nord della Costa d'Avorio, avevo sentito dire che l'area era rinomata per le stregoneria. La popolazione era in prevalenza musulmana, ma c'era anche una piccola tribù di animisti. Le altre tribù avevamo paura a mettere piedi nella regione Touba. Ci avventurammo pieni di entusiasmo, senza sapere realmente a cosa stavamo andando incontro, ma confidando in Gesù. "Io posso fare tutte le cose per mezzo della forza di Colui che vive dentro di me" ( Filippesi 4:13). Mentre apprendevo la lingua del posto, due veterani dell'opera fra i musulmani, Adeline ed Helen, giunsero a Touba per sei mesi per "spianare" la strada a noi due missionari più giovani. Presero contatti con alcuni funzionari governativi e con il capo tribù e affittarono per noi una capanna di fango, che avrebbe dovuto farci da dimora per quindici mesi. Adeline ed Helen incominciarono a girare per la foresta in cerca di villaggi, dove poter condividere la Buona Novella. Appena giunti, continuammo a viaggiare in lungo e in largo per la regione. Il "Prefetto" (vale a dire il funzionario governativo) ci aveva detto che in quel distretto c'erano più di 400 villaggi. Che emozione essere le primissime persone a parlare loro di Gesù! Visitammo villaggi sia animisti sia musulmani. Le cose procedettero senza intoppi fino a quando non incominciai ad avvertire un forte dolore alla mia gamba destra. Dal momento che eravamo entrambi infermieri, facemmo tutto quello che ci fu possibile per arrecare sollievo al dolore. Ma nulla sembrava servire, così ci recammo dal medico più vicino, a oltre 100 Km di distanza. Neppure lui fu in grado di aiutarmi, così ci abbandonammo completamente fra le braccia del Signore. Passammo molto tempo in preghiera, e una notte Hazel ebbe un sogno. Nel suo sogno, vide un "feticcio" nascosto nel tetto in paglia della nostra casa, al di sopra della porta d'ingresso. Poi udì una voce che diceva: "E' questo che sta affliggendo Betty." Quando si alzò, montò su una sedia e incominciò a frugare tra la paglia. "Ma che diamine stai facendo? E' notte fonda!" chiesi. Non rispose, ma continuò a rovistare, fino a quando non trovò il "feticcio", una scopa africana in miniatura, una manciata di ramoscelli legati insieme con uno spago rosso. Quando sedette sul mio letto sembrava scossa e mi disse del suo sogno. Risposi subito: "Se una parte del sogno è vera, deve esserlo anche la seconda". Piegammo entrambi a terra le nostre ginocchia e ringraziammo Dio per avercelo rivelato. Reclamammo la copertura del sangue di Gesù e affidammo tutta la cosa al Signore. E quel forte dolore lasciò il mio corpo! Il mattino dopo mostrammo quel "feticcio" all'evangelista del luogo, Jean Paul. Divenne grigio in volto e ci spiegò che era la peggiore stregoneria di quel luogo. Il senso di quella scopa era quello di ucciderci entrambi - di spazzarci via dal villaggio. Accendemmo un fuoco e ci rallegrammo insieme nel vedere quella piccola scopa consumarsi tra le fiamme! Davvero il Signore è fedele alla Sua promessa di Marco 16, dove Gesù ci dice di andare in tutto il mondo e di predicare la buona notizia - e nulla, per nessun motivo, potrà farvi del male!

Betty, Nowland, Costa d'Avorio
https://www.facebook.com/storiedifedevissute.blogspot.it
di Francesco La Manna

mercoledì 21 ottobre 2015

Se pace qual fiume

Horatio G. Spafford e sua moglie, Anna, erano abbastanza noti nella Chicago del 1860, non solo per la carriera legale di Spafford, ma anche perché i coniugi erano amici sostenitori di D. L. Moody, il famoso predicatore famoso. Nel 1870, l’unico figlio maschio degli Spafford morì di scarlattina, all’età di quattro anni. Un anno dopo, il grande incendio di Chicago distrusse le proprietà degli Spafford. Per lasciarsi in qualche modo alle spalle tali sofferenze, la famiglia decise di trascorrere un periodo in Inghilterra, sia come vacanza, sia per sostenere D. L. Moody, che teneva una campagna Evangelistica in quel periodo. Avrebbero raggiunto il loro pastore con qualche giorno di ritardo, nel 1873. Giunti a New York, per imbarcarsi sul battello, Spafford fu costretto a trattenersi per un importante impegno di lavoro. Non volendo rovinare i piani della moglie e delle quattro figlie, decise di farle partire. Lui le avrebbe raggiunte in un secondo momento. Nove giorni dopo, Horatio Spafford ricevette un telegramma da parte di sua moglie, dal Galles: “Io sono l’unica a essersi salvata”. Il 2 novembre 1873, il battello 'Ville de Havre' si era urtato in pieno oceano con un vascello inglese, affondando in 12 minuti e portando con sé 226 persone. Anna Spafford si era coraggiosamente aggrappata ad alcuni resti, tenendo le figlie disperatamente fino a quando – questo fu il suo ultimo ricordo – l’ultima delle figlie le scivolò dalle braccia e venne trascinata dalla forza delle acque. La donna sopravvisse soltanto perché, priva di sensi, rimase sopra un rottame che galleggiava. Quando rinvenne e seppe che era tra i pochi superstiti, la sua reazione fu di disperazione completa. Ma poi sentì dentro di lei una voce che le disse: “Sei stata risparmiata per uno scopo”. Ricordò le parole di un amico che diceva “E’ facile essere riconoscenti e fedeli a Dio quando tutto va bene, ma nella prova saprai se sei sottomesso”. Alla notizia della disgrazia, Spafford si imbarcò sulla prima nave da New York, per ricongiungersi con sua moglie. Durante il viaggio, il capitano della nave l’aveva chiamato sul ponte. “E’ stato fatto un calcolo preciso”, disse “e credo di poter dire che stiamo passando proprio in questo momento sul luogo dove il 'Ville de Havre' è affondato. L’acqua qui è profonda tre miglia. Spafford si chiuse nella sua cabina e scrisse le parole di questo grande inno. Le parole che scrisse quel giorno furono ispirate da 2 Re 4:26. Le sue parole fanno eco alla risposta della sunamita alla domanda circa la salute di suo figlio. Benché l’animo della donna fosse in gran dolore, rispose “Sta bene”. Spafford ebbe gli stessi sentimenti. Qualunque sia la circostanza che dovremo affrontare, possiamo dire con Horatio Spafford…

Se pace qual fiume:
Ascolta il cantico mentre leggi le parole:

https://www.youtube.com/watch?v=My6BNuPRe_o

Se pace qual fiume m'inonda dal ciel;
O il duolo si abbatte su me.
Qualunque la sorte ripeter potrò:
O mio cuor, calmo sta in Gesù!

Coro:
O mio cuor (o mio cuor)
Calmo sta (calmo sta)
Sta sereno, al sicuro in Gesù.

Se sono tentato da prove e dolor,
Certezza infinita sei Tu!
Dal mal, dal peccato redento io sono
Per il sangue che hai sparso Gesù!
Coro:
O mio cuor (o mio cuor)...

I miei peccati Gesù cancellò
L'ha tutti inchiodati quel dì,
Lassù sulla croce. Or libero son
E do lode e gloria a Gesù!
Coro:
O mio cuor (o mio cuor)...

Or vivere è Cristo, sol Cristo per me.
Se anche il Giordan passerò,
Non temo la morte, la prova e il dolor.
Sempre pace godrò in Gesù!

Coro:
O mio cuor (o mio cuor)...

Ma il tuo ritorno Signore bramiam.
Non morte, ma gloria attendiam.
Oh, angelica voce, oh, tromba dal ciel,
Oh, beata speranza in Gesù!

Francesco La Manna

venerdì 16 ottobre 2015

Una guarigione profonda

Qualche tempo fa ho ascoltato un'audiocassetta su cui era registrato il vivo resoconto di un miracolo di guarigione. Un fratello in fede stava insegnando ad una classe della Scuola Domenicale commentando il Salmo 103. Tre anni prima aveva dovuto lasciare il ministero perché un virus aveva attaccato la mielina intorno ai nervi delle sue corde vocali, riducendo la sua voce a un aspro bisbiglio. Aveva provato in prima persona il travaglio descritto nel Salmo 102, contrapposto alla gioia descritta nel Salmo 103. Quel giorno, mentre parlava alla sua classe con un microfono appoggiato alle labbra, stava testimoniando la propria fiducia e la fede nella guarigione divina, dichiarando che il tempo dei miracoli non era finito con i libri degli Atti. Ascoltando la cassetta, a volte non si riuscivano a percepire distintamente le sue affannose parole di fede: "Dio ... salva la tua vita dalla fossa, ti corona di bontà e compassioni". Mentre leggeva il versetto 4, si verificò un miracolo. Alla parola "fossa" la sua vita cambiò, la voce venne fuori forte e cristallina come una campana, in netto contrasto con l'enunciazione flebile delle parole precedenti. Quel fratello si fermò trasalendo, poi continuò, e si arrestò ancora. Disse alcune parole, tutte con tono di voce normale, e poi si fermò di nuovo. La classe eruppe in grida e pianti di gioia e di meraviglia. Dio lo aveva guarito completamente mentre dichiarava con fede la verità contenuta in questo Salmo magnifico.

George Wood
di Francesco La Manna

domenica 11 ottobre 2015

Testimonianza di Joni Eareckson Tada



Per anni ho pensato: "Gli incidenti capitano solo agli altri. Non si vedrà mai una sedia a rotelle in casa mia". Non che volessi essere "snob", stavo semplicemente vivendo quella realtà. La mia, era quel genere di famiglia sempre pronta a fare una partita a tennis o a prepararsi per una gita in campagna. In effetti, io e le mie tre sorelle più grandi, non ci eravamo mai slogate nemmeno una caviglia. Tutto ciò cambiò in un caldo pomeriggio di luglio del 1967, quando mia sorella Kathy ed io andammo alla spiaggia di Chesapeake Bay a fare una nuotata. L'acqua era scura e densa e non mi curai di controllarne la profondità prima di salire su una zattera ancorata al largo. Appoggiai i piedi sul bordo, respirai profondamente e mi tuffai. La mia testa urtò contro qualcosa di duro ed indietreggio con uno strattone. Provai una strana scossa alla nuca. Sott'acqua, intontita, mi sentii galleggiare trascinata dalla corrente, incapace di risalire in superficie.