martedì 5 maggio 2015

Quando l'uomo ascolta il diavolo e non "Dio".

Era il 20 aprile 1999 quando Eric Harris e Dylan Klebold, degli studenti di 18 e 17 anni della Columbine High School, uccisero 13 persone e ne ferirono 24 prima di togliersi la vita. Le immagini dei due con i fucili automatici che si aggirano per i corridoi della scuola hanno fatto il giro del mondo. Quel gesto, che ha inghiottito per sempre la tranquillità quasi noiosa del paesino alle porte di Denver in Colorado, ha trasformato profondamente la vita di Craig Scott, uno studente scampato al massacro, fratello di Rachel, la prima vittima della follia omicida di Harris e Klebold. In memoria della sorella, Craig e la sua famiglia hanno fondato un'organizzazione non profit, Rachel's Challenge, per prevenire la violenza nelle scuole. Oggi, dopo 16 anni, Craig scrive una lettera ai due killer e ci chiede di pubblicarla: "Vi perdono perché Rachel l'avrebbe fatto".
Eric e Dylan, sedici anni fa siete entrati nella nostra scuola armati fino ai denti, avete ucciso 13 persone e ne avete ferite 24. Varcato il cancello la prima ragazza a cui avete sparato si chiamava Rachel Scott, aveva 17 anni, ed era mia sorella. Prima di morire le avete chiesto se credeva in Dio. Lei ha risposto "sì", e voi avete fatto fuoco. Era una ragazza magnifica, sensibile e profonda. E' riuscita a cambiare la vita di tantissime persone con piccoli gesti, e con quello che ci ha lasciato scritto nei sui diari. La verità è che Rachel vi avrebbe perdonato per quello che avete fatto, così faccio io oggi. Quella mattina, mentre milioni di persone guardavano la disperazione degli studenti di Columbine mentre scappavano o piangevano, io ero nella biblioteca dove stava avvenendo il massacro, sono stato testimone di quello che avete fatto. Vi aggiravate tra noi studenti con le armi puntate, ci prendevate in giro, come se steste riproducendo un film che conoscevate a memoria. Seminavate terrore. Io ero accovacciato sotto un tavolo e pregavo di salvarmi. Avete sparato a due miei grandi amici e li avete uccisi, proprio accanto a me. Uno di questi era Isaiah, un ragazzo di colore, l'ultima cosa che ha sentito prima di morire sono stati i vostri insulti razzisti. Poi avete lasciato la stanza per qualche minuto e noi siamo scappati. Mi ricordo di aver urlato agli altri di uscire velocemente, e di aver aiutato una ragazza ferita. Siete tornati in biblioteca e ubriachi di violenza avete messo fine a quell’ora di terrore togliendovi la vita. Una volta arrivato al parcheggio della scuola ho chiamato mia madre, ancora non sapevamo quello che era successo a Rachel. Da quel giorno, la mia vita e quella della mia famiglia è cambiata. I due anni seguenti li ho passati provando odio e rancore, sognavo come potevo vendicarmi se voi foste stati ancora vivi. Mi sono chiuso in me stesso, e desideravo vendetta. Quelle emozioni mi facevano molto più simile a voi di quanto potessi immaginare. Poi ho deciso di partire per una missione in Sudafrica, era il sogno di Rachel, e lì ho conosciuto un uomo che mi ha illuminato. A lui avevano uccisi 17 membri della sua famiglia e nonostante il dolore profondo, me ne stava parlando: condivideva con me la sua storia e lo faceva con serenità. Quel giorno ho capito che dovevo riuscire a spezzare la catena d’odio che avevate iniziato e l’unica strada era la condivisione. Dovevo fare un lungo percorso verso il perdono per liberarmi dalle vostre ombre. E ora non solo mi sento libero, ma parlo di quello che avete fatto a Columbine nelle scuole di tutto il Paese per insegnare agli adolescenti che gli unici antidoti conto l'odio sono la gentilezza e la compassione. E’ incredibile lo so, ma il vostro odio l'abbiamo trasformato in luce. E’ quello che avrebbe voluto Rachel. Un mese prima della sparatoria, eravate a casa dei vostri genitori e con una pistola puntata verso una telecamera dicevate che era necessario far scattare una reazione a catena di violenza. Sempre un mese prima di quel 20 aprile 1999, mia sorella, durante l’ora d’inglese, scriveva in un tema: “Credo che se una persona si ferma e mostra agli altri compassione avrebbe la forza di iniziare una reazione a catena”. Tutti e tre parlavate di “reazione a catena”. Ma mentre la vostra si è fermata con il vostro suicidio e qualche altro tentativo di emulazione riuscito male, quella di Rachel prosegue con noi che raccontiamo la sua storia a migliaia di ragazzi, la vita così ingiustamente breve di mia sorella continua ad avere un forte impatto sugli altri. Io mi ricordo del nostro primo incontro. La prima volta che vi ho visto ero in terza media, voi frequentavate già il liceo. La vostra presenza mi incuteva un po’ di paura. Eravamo a casa di un amico e voi guardavate su Internet come costruire una bomba, mai avrei immagino che qualche anno dopo mi sarei trovato sotto un tavolo a difendermi davvero dalle vostre bombe. Abbiamo giocato anche a basket insieme, e in quell’occasione mi sembrati "ragazzi normali". C’è chi ha detto che avete organizzato una strage perché a Columbine siete stati bullizzati ed emarginati. So che voi per primi eravate dei bulli. Se potessi tornare indietro a quel giorno sul campo da basket, vi parlerei e vi chiederei il perché di certi atteggiamenti e vorrei farvi capire che non è tutto come sembra. Vi direi che la solitudine che provate voi la provano in molti e che poi tutto passa. Quello che avete fatto, Eric e Dylan, non ha risolto nulla. Con quei fucili automatici non avete fatto giustiziata, avete tolto sogni e progetti a tredici persone innocenti, come mia sorella Rachel. Oggi io vi perdono perché so che odio crea solo odio, e io non posso permettervi di portarmi via il sorriso, già vi siete presi mia sorella.


Rachel nel suo diario del 20 aprile 1998, esattamente un anno prima annotò nel queste parole: "Io non chiederò scusa perché ho menzionato il nome di Gesù a scuola. Non intendo giustificare la mia fede nel mio amico Gesù davanti a voi che non mi avete volete credere. E, io non nasconderò la luce che il Signore a messo in me, se devo sacrificare tutto lo farò. Se i miei amici devono diventare i miei nemici perché io amo restare con il mio migliore amico, allora così sia. Migliaia di persone hanno sentito la sua chiara testimonianza dell'amore che Rachel aveva per il Suo amato Signore Cristo Gesù, e oggi molti si sono accostati alla fede e alla verità del Vangelo di Gesù Cristo".

Storie di Fede Vissute
Francesco La Manna



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