Fu nel 2006 quando la polizia venne ad arrestarmi. Mi intercettarono per via telefonica, sia a me che ad altre ventitré persone: fummo mandati in carcere per spaccio di droga. Mio marito era già detenuto già da quattro mesi nel carcere di Salerno. Fu colto in fragrante mentre trasportava 78 kg di droga pura. La mia vita e quella di mio marito era una vita fatta di illeciti e droghe. Viaggiavamo spesso per il mondo facendo i corrieri internazionali della droga. Non ero mai stata arrestata e mai fatto un giorno di galera. Ma quando la porta della cella si chiuse alle mie spalle, precipitai in un tunnel buio e sentii che mi cadde il mondo addosso. La mia preoccupazione era mio figlio di sei anni, mi rimasero registrati nella mia mente i suoi occhi spaventati quando vide che mi portarono via.
Entrai in una cella oscura e sporca, c'era solo un'altra detenuta, una atea dichiarata. Parlai con lei un poco poi mi sdraiai su lettino della cella. Mille pensieri avvolgevano la mia mente, e un dolore al petto che mi sentivo mancare l'aria; incominciai a piangere, e a provare che cosa significa sbagliare nella vita. Pensavo continuamente a mio figlio e a come riabbracciarlo, ma davanti a me c'era un muro invalicabile, un muro nella mia mente che mi toglieva il respiro. Pensavo alle lacrime e il dolore di mio figlio, e piangevo, poi mi volsi all'interno del letto e vidi che il materasso da un lato della testa era più alto, come se qualcosa stesse sotto a farlo rialzare. Curiosa, infilai la mano e tirai fuori un libricino: era il Nuovo Testamento. In quel momento si aprì una finestra nella mia mente e mi ritrovai a vivere i momenti della mia infanzia. Siamo tre sorelle e io sono la seconda, in casa mia c'era una idolatria cattolica di statue e figurine da togliere l'aria. Mia madre e mio padre erano devoti di San Francesco e siccome ero la seconda figlia, decisero se eventualmente non fosse arrivato (come infatti è stato) un maschio, di chiamarmi Francesca per la devozione al santo. Un giorno mia sorella ebbe delle convulsioni e stava per morire, ma si salvò e mia madre pensò che era San Francesco che l'aveva guarita. Così tutti i venerdì vestiva a mia sorella con un vestito da francescano con sopra scritto "caritas". Io odiavo il venerdì, non sopportavo vedere mia sorella vestita da prete, la casa era piena di crocifissi e figure di santi, soprattutto San Francesco. Mancava poco che parlavamo con gli uccelli. Mio padre, andò via di casa quando avevo 10 anni, lasciò mia madre che cadde in una forte depressione. Il divano dove si sdraiava mia madre aveva fatto la sagoma del suo corpo. Rimanemmo in casa solo noi donne e io ero la più terribile, avevo un carattere forte e non avevo paura di nessuno. A quindici anni conobbi mio marito e incominciai a fumare e a farmi qualche canna. Mio marito viveva nei quartieri più malfamati della città dove regna la malavita calabrese. Io ero arrabbiata con il mondo intero a causa di mio padre e di tante cose che non andavano. A diciannove anni ci sposammo, ma poiché il mio ragazzo entrava e usciva dal carcere, mio padre mi ripudiò come figlia, perché mi ero messa con un delinquente. Ci sposammo e andammo a vivere in uno scantinato, non avevamo mobili, niente di niente, ci volevamo solo bene e basta. Mi ricordai di un Signore che quando mi vedeva diceva "Francesca Gesù ti ama", e io quelle parole le ho sempre serbato nel mio cuore. Poi, la vicina di casa era evangelica e la sera ci chiamava per pregare e a parlare del Signore. Poiché quando entravano gli altri fratelli, io ero quella che mettevo apposto cappotti e borse, insieme a mio marito decidemmo di rubare alle sorelle. Una sera venne una sorella che mi diede la borsa e io rapidamente, mentre raggiungevo l'altra camera per poggiare gli abiti e la borsa, infilai la mano e presi il portafoglio, dove c'erano solo 10.000 lire, quando stetti per metterle in tasca, venni assalita da un rimorso, una voce dentro di me che mi disse "non farlo", e rimisi i soldi a posto. Non era la prima volta che rubavo, ma quella sera qualcuno mi disse di non farlo. A fine riunione quando ci salutarono, la sorella aprì la borsa e prese il portafoglio, lo apri e tirò fuori le 10.000 lire e me la diede, dicendomi "Cara è per te, solo questo ho, ma voi siete giovani e ne avete bisogno, il Signore provvederà". Rimasi di ghiaccio e volevo piangere, perché se quella voce che mi disse: "non farlo", non mi avrebbe fermata avrei commesso una grossa cattiveria, ma Dio non volle farmi fare quella che sarebbe stata una bruttissima figura. In me incominciava a farsi strada la Parola di Dio, ma conducevamo una brutta vita sia io che mio marito. All'improvviso, tornai in me e mi rividi in quella cella tetra del carcere dove mi trovavo. Incominciai a chiedere perdono a Dio per il male che avevo fatto e per la vita che conducevo. Quella notte in cella piansi e chiesi perdono a Dio come non avevo mai fatto, dei brividi attraversarono il mio corpo e incominciai a leggere il Nuovo Testamento. Il giorno dopo, chiesi all'avvocato se mi accordassero gli arresti domiciliari, ma l'avvocato mi presa per matta, mi disse che nessun giudice mi avrebbe concesso i domiciliari per trasporto internazionale di droga. Anzi, mi disse che, poiché ci avevano arrestato in 24 persone me compresa, c'era la possibilità del reato di associazione a delinquere, anche se questo reato cadde per insufficienza di prove. Ma io nella cella pregavo e piangevo e volevo mio figlio. Dopo quattro giorni, il giudice mi diede la condanna di sei anni di detenzione, ma da scontare tutti e sei ai domiciliari, con la meraviglia del mio avvocato. Ma l'avvocato non sapeva che avevo passato quattro notti a chiedere i domiciliari all'Avvocato degli avvocati, a Cristo Gesù. Rimasi sei anni chiusa in casa senza mai uscire, senza soldi, ma non mi mancò mai niente. Mia madre, le mie sorelle, tutti mi diedero un aiuto. Anche i fratelli e sorelle in Cristo che conoscevo facevano a gara per aiutarmi. La sera facevamo gli studi biblici, si leggeva la Parola e si pregava. In una di quelle sere, diedi il mio cuore a Gesù. Mi battezzò nello Spirito Santo e da allora la mia vita è cambiata. Sono una figliuola di Dio. Non vivo più nel peccato, anche se le difficoltà e i problemi non mancano. Mio marito si avvicina e si allontana dalla fede, la tentazione del mondo è forte in lui, ma la chiesa e i fratelli pregano per lui e per la mia famiglia.
Entrai in una cella oscura e sporca, c'era solo un'altra detenuta, una atea dichiarata. Parlai con lei un poco poi mi sdraiai su lettino della cella. Mille pensieri avvolgevano la mia mente, e un dolore al petto che mi sentivo mancare l'aria; incominciai a piangere, e a provare che cosa significa sbagliare nella vita. Pensavo continuamente a mio figlio e a come riabbracciarlo, ma davanti a me c'era un muro invalicabile, un muro nella mia mente che mi toglieva il respiro. Pensavo alle lacrime e il dolore di mio figlio, e piangevo, poi mi volsi all'interno del letto e vidi che il materasso da un lato della testa era più alto, come se qualcosa stesse sotto a farlo rialzare. Curiosa, infilai la mano e tirai fuori un libricino: era il Nuovo Testamento. In quel momento si aprì una finestra nella mia mente e mi ritrovai a vivere i momenti della mia infanzia. Siamo tre sorelle e io sono la seconda, in casa mia c'era una idolatria cattolica di statue e figurine da togliere l'aria. Mia madre e mio padre erano devoti di San Francesco e siccome ero la seconda figlia, decisero se eventualmente non fosse arrivato (come infatti è stato) un maschio, di chiamarmi Francesca per la devozione al santo. Un giorno mia sorella ebbe delle convulsioni e stava per morire, ma si salvò e mia madre pensò che era San Francesco che l'aveva guarita. Così tutti i venerdì vestiva a mia sorella con un vestito da francescano con sopra scritto "caritas". Io odiavo il venerdì, non sopportavo vedere mia sorella vestita da prete, la casa era piena di crocifissi e figure di santi, soprattutto San Francesco. Mancava poco che parlavamo con gli uccelli. Mio padre, andò via di casa quando avevo 10 anni, lasciò mia madre che cadde in una forte depressione. Il divano dove si sdraiava mia madre aveva fatto la sagoma del suo corpo. Rimanemmo in casa solo noi donne e io ero la più terribile, avevo un carattere forte e non avevo paura di nessuno. A quindici anni conobbi mio marito e incominciai a fumare e a farmi qualche canna. Mio marito viveva nei quartieri più malfamati della città dove regna la malavita calabrese. Io ero arrabbiata con il mondo intero a causa di mio padre e di tante cose che non andavano. A diciannove anni ci sposammo, ma poiché il mio ragazzo entrava e usciva dal carcere, mio padre mi ripudiò come figlia, perché mi ero messa con un delinquente. Ci sposammo e andammo a vivere in uno scantinato, non avevamo mobili, niente di niente, ci volevamo solo bene e basta. Mi ricordai di un Signore che quando mi vedeva diceva "Francesca Gesù ti ama", e io quelle parole le ho sempre serbato nel mio cuore. Poi, la vicina di casa era evangelica e la sera ci chiamava per pregare e a parlare del Signore. Poiché quando entravano gli altri fratelli, io ero quella che mettevo apposto cappotti e borse, insieme a mio marito decidemmo di rubare alle sorelle. Una sera venne una sorella che mi diede la borsa e io rapidamente, mentre raggiungevo l'altra camera per poggiare gli abiti e la borsa, infilai la mano e presi il portafoglio, dove c'erano solo 10.000 lire, quando stetti per metterle in tasca, venni assalita da un rimorso, una voce dentro di me che mi disse "non farlo", e rimisi i soldi a posto. Non era la prima volta che rubavo, ma quella sera qualcuno mi disse di non farlo. A fine riunione quando ci salutarono, la sorella aprì la borsa e prese il portafoglio, lo apri e tirò fuori le 10.000 lire e me la diede, dicendomi "Cara è per te, solo questo ho, ma voi siete giovani e ne avete bisogno, il Signore provvederà". Rimasi di ghiaccio e volevo piangere, perché se quella voce che mi disse: "non farlo", non mi avrebbe fermata avrei commesso una grossa cattiveria, ma Dio non volle farmi fare quella che sarebbe stata una bruttissima figura. In me incominciava a farsi strada la Parola di Dio, ma conducevamo una brutta vita sia io che mio marito. All'improvviso, tornai in me e mi rividi in quella cella tetra del carcere dove mi trovavo. Incominciai a chiedere perdono a Dio per il male che avevo fatto e per la vita che conducevo. Quella notte in cella piansi e chiesi perdono a Dio come non avevo mai fatto, dei brividi attraversarono il mio corpo e incominciai a leggere il Nuovo Testamento. Il giorno dopo, chiesi all'avvocato se mi accordassero gli arresti domiciliari, ma l'avvocato mi presa per matta, mi disse che nessun giudice mi avrebbe concesso i domiciliari per trasporto internazionale di droga. Anzi, mi disse che, poiché ci avevano arrestato in 24 persone me compresa, c'era la possibilità del reato di associazione a delinquere, anche se questo reato cadde per insufficienza di prove. Ma io nella cella pregavo e piangevo e volevo mio figlio. Dopo quattro giorni, il giudice mi diede la condanna di sei anni di detenzione, ma da scontare tutti e sei ai domiciliari, con la meraviglia del mio avvocato. Ma l'avvocato non sapeva che avevo passato quattro notti a chiedere i domiciliari all'Avvocato degli avvocati, a Cristo Gesù. Rimasi sei anni chiusa in casa senza mai uscire, senza soldi, ma non mi mancò mai niente. Mia madre, le mie sorelle, tutti mi diedero un aiuto. Anche i fratelli e sorelle in Cristo che conoscevo facevano a gara per aiutarmi. La sera facevamo gli studi biblici, si leggeva la Parola e si pregava. In una di quelle sere, diedi il mio cuore a Gesù. Mi battezzò nello Spirito Santo e da allora la mia vita è cambiata. Sono una figliuola di Dio. Non vivo più nel peccato, anche se le difficoltà e i problemi non mancano. Mio marito si avvicina e si allontana dalla fede, la tentazione del mondo è forte in lui, ma la chiesa e i fratelli pregano per lui e per la mia famiglia.
A Dio sia la gloria per ora e per sempre. Amen
Francesca
Francesco La Manna
Storie di Fede Vissute
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